Coronavirus: perché l’Italia ha tanti decessi?

Pubblicato il 30/03/2020
Pubblicato in: News
Coronavirus: perché l’Italia ha tanti decessi?

Al nostro ormai consueto appuntamento alle ore 18.00 con il - per fortuna guarito - commissario Borrelli ci vengono comunicate tre cifre che ci spaventano: il numero dei nuovi infettati , il numero delle persone in terapia intensiva e quello delle persone decedute.

Sembra che da qualche giorno stiamo assistendo a una lieve flessione dei nuovi infettati: il numero scendeva e poi risaliva; adesso di nuovo scende poco, ma poi risale di nuovo anche se poco, ma la tendenza è giusta e diminuiscono poco e non si sa se il trend tiene chi ogni giorno ha bisogno di un posto in terapia intensiva. Identifichiamo la causa nelle rigide misure di contenimento, quelle che, volenti o nolenti, ci costringono a rimanere chiusi in casa.

L’altro numero che attendiamo con ansia al report quotidiano è quello del numero dei decessi. A che cosa si devono tanti morti? Di recente hanno raggiunto la vetta di quasi mille al giorno, mettendo l’Italia al primo posto della mortalità mondiale. Le spiegazioni sono varie. Per quanto riguarda la Lombardia, che registra in Italia il più alto numero di morti, sono stati fatti molti tamponi, ma alle persone con sintomi conclamati, come tosse, febbre alta e dispnea; non sono stati fatti i test ai paucisintomatici, cioè alle persone che denunciavano pochi sintomi.
Sarebbe invece appropriato farli a tappeto, per poter isolare i sintomatici ed evitare ulteriori contagi, ma sembra che il problema sia soprattutto logistico: non ci sono risorse per fare tanti tamponi, non solo per la loro mancanza ma anche per mancanza di macchinari e di persone che vi lavorino. Per questo motivo i tamponi sono solo quelli fatti a persone molto malate.

Probabilmente i veri contagiati sono molti di più, e quindi la percentuale delle persone decedute minore.
Un altro fattore da considerare è l’età: l’Italia è il paese con maggiore longevità in Europa; i decessi sono avvenuti soprattutto nelle persone anziane affette da cronicità e da molteplici patologie (pensiamo a quanti anziani sono malati di diabete, di insufficienza respiratoria o di problemi renali).
C’è inoltre un aspetto della nostra società a cui prestiamo poca attenzione: in Italia i giovani e persone con sintomi poco vistosi vivono molto di più con le persone anziane perché abitano per lo più in famiglia e contagiano i vecchi e fragili. Questa potrebbe essere una delle ragioni della diversa proporzione di deceduti rispetto alla Germania, un paese dove i giovani escono di casa molto prima e non convivono con gli anziani.
In più dobbiamo dolorosamente constatare che il sistema sanitario del Nord è scoppiato: le attese per entrare in terapia intensiva sono troppo lunghe, si esita troppo a rivolgersi all’ ospedale, perché si sa che non c’è posto. Non ci sono ventilatori a sufficienza; scarseggiano gli infermieri, perché un malato in ventilazione richiede tantissimo personale.
I sanitari del Nord sono completamente esausti. In questo momento sembra che in Spagna succeda lo stesso. Solo alla fine di questa pandemia potremo tirare le somme e le conclusioni, se tutti i paesi comunicheranno in modo corretto i dati.

In questo scenario si impone la priorità che ci è stata prescritta: rimanere confinati in casa e spostare la battaglia sul territorio, dove bisogna fare tamponi a tappeto e isolare i contagiati.
I medici e gli infermieri fanno il possibile. Qualcuno di loro ricorre anche all’ironia (un sorriso non può che far bene…). Cito un collega di Roma, dove il sistema sostanzialmente ancora tiene. Propone un’immagine satirica per comunicarci come sta lottando per noi: come un antico gladiatore, sceso nell’arena per affrontare, corpo a corpo, il covid-19. No, noi nel frattempo rimaniamo a casa con pazienza: è l’unico modo in cui possiamo fare la nostra parte in questa epica lotta, salvando noi stessi, i nostri cari, chi ci cura, la società intera.

Dagmar Rinnenburger

Dagmar Rinnenburger
medico pneumologa

 

 

 

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